Diritto del Dirigente al risarcimento per mancanza di obiettivi
Non ti sono stati assegnati degli obiettivi? Potresti avere diritto al risarcimento del danno.
Questo è il principio emerso dall’Ordinanza del 30 gennaio 2018 n. 2293 della Corte di Cassazione; analizziamo meglio la fattispecie.
Innanzitutto, occorre precisare cosa sono gli obiettivi: essi consistono in risultati specifici che, in caso di raggiungimento, garantiscono l’aumento degli emolumenti da corrispondere al lavoratore da parte della Società presso la quale quest’ultimo fornisce la sua attività (c.d. parte variabile della retribuzione).
Gli obiettivi dovrebbero essere descritti in maniera chiara ed esaustiva, e dovrebbero contenere un criterio oggettivo e ben delineato per la loro misurazione.
Ci si interroga se, in caso di assenza di fissazione dei medesimi, possa esserci o meno la spettanza di questi bonus.
Nel caso di specie un dirigente, dimessosi per giusta causa, ricorreva contro l’Azienda Alfa per il riconoscimento, oltre che degli emolumenti non corrisposti, del risarcimento del danno per la mancata assegnazione da parte della summenzionata di alcun obiettivo da raggiungere; tale comportamento, impediva allo stesso di poter ottenere premi rientranti nella parte variabile della sua retribuzione.
Soccombente in II grado, la Società Alfa ricorreva in Cassazione al fine di ribaltare il precedente giudizio; gli ermellini, però, confermavano quanto stabilito dalla Corte di Appello ritenendo giustificato il ricorso del dirigente volto ad ottenere il risarcimento del danno per la perdita della possibilità di aumentare la propria retribuzione mediante il raggiungimento di premi mai assegnati dalla Società.
La Corte di Cassazione affermava che il danno ricevuto dal dirigente in questione rientrasse nella categoria dei danni patrimoniali futuri e non attuali, consistente nella perdita di possibilità di ottenere un vantaggio economico: “… occorre quindi ribadire come il danno patrimoniale da perdita di chance sia un danno (non già attuale, ma) futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2737) e che esso consista, come appunto accertato nel caso di specie, in una concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene, non in una mera aspettativa di fatto, ma in un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Cass. 25 agosto 2014, n. 18207; Cass. 20 giugno 2008, n. 16877)…”.
L’Ordinanza ha ritenuto la natura del danno non come una mera aspettativa di fatto, ma come una concreta ed effettiva occasione perduta dal dirigente di poter ottenere un determinato bene, fondata su circostanze specifiche, provabili anche presuntivamente in quanto nel caso di specie gli obiettivi erano stati sempre raggiunti dal dirigente durante le annualità precedenti.
Per tali motivazioni, i Giudici di Legittimità respingevano il ricorso della Società Alfa, condannandola al pagamento del danno equitativamente quantificato.
Si evince che la mancata fissazione degli obiettivi da parte della società datrice di lavoro, non comporta la possibilità per il Giudice di Merito di stabilire suppletivamente gli obiettivi e quantificare il compenso ma, alla stregua di quanto annunciato dal principio degli Ermellini a seguito dell’ordinanza di cui si scrive, la mancanza della fissazione degli obiettivi integra un inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c., che può essere condannato giurisdizionalmente esclusivamente su un piano risarcitorio.
Sarà onere del dirigente, però, dimostrare il danno per la c.d. perdita di chance, come accaduto nel caso di specie dell’Ordinanza analizzata (aver conseguito negli anni precedenti gli obiettivi non fissati per l’anno poi risarcito): “… la sussistenza di un tale pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare), consistente nella perdita di una possibilità attuale, esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, della sua attuale esistenza (Cass. 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. 31 maggio 2017, n. 13818); che l’accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati (Cass. 17 aprile 2008, n. 10111; Cass. 12 febbraio 2015, n. 2737): come indubbiamente nel caso di specie (per le ragioni esposte al p.to 3 di pgg. 5 e 6 del decreto) e ciò tanto più nel regime del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., preclusivo nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), il quale esclude una valutazione della motivazione contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente né perplessa o obiettivamente incomprensibile (come non si verifica nel caso di specie) …”.
Avv. Stefano Alberto Brandimarte